Le storie legate ai fantasmi delle peste nera ci parlano delle loro morti terribili e premature. Se viviamo in Europa, probabilmente non dobbiamo guardare troppo lontano per trovare luoghi testimoni di quegli orribili eventi. Chi visita questi posti riferisce spesso di sentire le tracce dei traumi che vi si sono consumati. E nella storia dell’umanità, pochi momenti devono essere stati traumatici quanto gli anni della cosiddetta “Morte Nera“. Una persona su tre veniva contagiata, e le probabilità di sopravvivenza erano di circa il 40%. Quando l’epidemia ebbe fine, un terzo della popolazione europea era morto a causa della peste.
I fantasmi della peste: come tutto è cominciato
Non si sa esattamente il perché, ma intorno all’inizio del 1330 nel deserto del Gobi, in Cina, scoppiò la peste. La malattia si diffuse in maniera inesorabile. Trasportata dalla carovane di mercanti, percorse quella che al tempo era la cosiddetta “Via della seta“, importantissima rotta commerciale tra Asia ed Europa. Passando per la Siria arrivò a Grecia, Egitto, penisola balcanica, e nel 1347 approdò in Italia.
Nell’ottobre di quell’anno, una flotta genovese di ritorno dal mar Nero giunse a Messina. Gli equipaggi erano già decimati, e le navi furono ben presto cacciate, ma i pochi contatti che ci furono bastarono ad innescare il contagio dell’epidemia in tutta la Sicilia e la Calabria. Da qui, attraversando l’Italia, la peste risalirà fino al resto d’Europa, e nel giro di pochi anni l’intero Continente soccomberà alla pestilenza.
Come si diffondeva la peste?
La malattia è causata da un bacillo chiamato Yersinia Pestis. Viene trasmesso dai topi all’uomo attraverso le pulci, arriva ai linfonodi, e talvolta al flusso sanguigno e ai polmoni, diventando ancora più letale. I sintomi della malattia sono febbre, brividi, vomito, diarrea, e i caratteristici bubboni dovuti ai linfonodi ingrossati. Il contagio avveniva poi anche da uomo a uomo attraverso la saliva: bastava quindi uno starnuto per propagare l’infezione a quanti stavano vicino al malato.
La rapidità della diffusione era dovuta anche alle precarie condizioni igieniche dell’epoca: si viveva nella sporcizia, i bagni erano considerati peccaminosi, e il contatto con l’acqua in generale nocivo. Era normale indossare abiti infestati dalle pulci, che non venivano mai lavati. Depositi, granai, strade e anche locali domestici erano pieni di topi. Inutile dire che simili abitudini creavano un terreno favorevole al dilagare inarrestabile della Peste.
La medicina del tempo non era assolutamente in grado di contrastare una tale piaga: non esistevano sufficienti conoscenze scientifiche, e le cure suggerite consistevano in salassi e aria fresca. Si pensava infatti che la malattia fosse dovuta all’aria, divenuta malsana a causa di strane congiunzioni astrali. Laddove la medicina non era in grado di intervenire si ricorreva alla religione. Secondo la Chiesa la pestilenza era un castigo divino, per cui, al fine di espiare le colpe dell’umanità, venivano organizzate quotidiane processioni di preghiera. Il risultato era che i fedeli sani che vi partecipavano molto facilmente venivano infettati dai malati che pregavano per la guarigione.
La pandemia ebbe fine, ma nel corso dei secoli continuò a ripresentarsi ciclicamente, mietendo nuove vittime. Le successive epidemie restavano circoscritte a territori più ristretti. Non si raggiunse più il numero di contagi della prima epidemia, ma non si riuscì mai neanche a sconfiggerla definitivamente.
Il sacrificio del villaggio di Eyam
La storia che raccontiamo si svolge in Inghilterra nel 1665. È in corso quella che fu definita “la Grande Peste di Londra“. George Vicars, aiutante di un sarto della piccola cittadina di Eyam, nel Derbyshire, riceve dalla capitale un pacco. Contiene delle stoffe, che però nel corso del viaggio si sono inumidite. Decide quindi di stenderle davanti al camino per lasciarle asciugare. Questo semplice gesto sarà fatale all’intera comunità di Eyam: i tessuti sono infatti infestati di pulci portatrici di peste. Il povero George fu la prima vittima, cui seguirono in breve tempo altri cinque cittadini.
La popolazione, in preda al panico, si rivolse al parroco, William Mompesson. Egli riuscì a convincere tutti i cittadini a non scappare, ma a distaccarsi dal mondo esterno, non oltrepassando i confini del villaggio per evitare di estendere il contagio alle vicine comunità. Cibo e medicine venivano lasciati a poca distanza dal villagio. Le funzioni venivano celebrate all’aperto e le famiglie mantenevano ampie distanze tra di loro. Nel giro di alcuni mesi il focolaio di peste si spense, ma il prezzo pagato da Eyam fu altissimo: dei 350 abitanti ne morirono 260. Incredibilmente alcuni non vennero contagiati nonostante lo stretto contatto con i malati. È celebre il caso di Elizabeth Hancock, che nel giro di una settimana seppellì il marito ed i suoi sei figli, senza venire colpita dalla malattia.
La Morte Nera ha segnato talmente la storia di questo villaggio da essere ricordata ancora oggi anno, con una celebrazione che si chiama “La domenica della peste”, l’ultima domenica di agosto.
I fantasmi della peste di Eyam
Con un passato così triste il villaggio custodisce molte storie spettrali da raccontare. Le tombe dei morti di peste sono ancora oggi presenti, e camminarci in mezzo è qualcosa che fa rabbrividire. Ma a quanto sembra non sono le uniche tracce rimaste del passaggio della Morte Nera. Pare infatti che numerosi spiriti del tempo siano rimasti ad aggirarsi tra le case che popolavano in vita.
Il fantasma di Catherine, moglie del reverendo Mompesson, è stato avvistato sul sagrato della chiesa di Saint Lawrence. Insieme al marito lavorava duramente per alleviare le pene dei malati, ma fu uccisa dalla malattia e sepolta nel cimitero nei pressi della chiesa.
Un’altra location infestata della cittadina è il Miner’s Arms, una locanda edificata nel 1930. Qui sembra che risuonino passi misteriosi. Chi vi soggiorna riferisce di sentire porte che si aprono sbattendo, e cori di risate spettrali. Si è manifestato anche il fantasma di un’anziana donna ammantata con una cappa nera e con un cappello in capo.
C’è poi l’Eyam Hall, palazzo nobiliare del XVII secolo. Fu costruito pochi anni dopo la peste, utilizzando pietre e materiali recuperati da altri edifici. Forse per questo motivo il fantasma di un vecchio non identificato infesta una delle stanze al piano superiore. Gli incidenti capitati sono stati talmente frequenti che i proprietari del palazzo hanno deciso di chiudere la camera in via definitiva.